Dopo essersi laureato a soli vent’anni in Matematica alla Stanford University, Larry Tesler iniziò a specializzarsi nel settore della User Interface, di cui è considerato uno dei pionieri.
Tesler era fortemente convinto che i sistemi informatici e i computer dovessero diventare sempre più facilmente comprensibili e utilizzabili da chiunque. Così, nel 1983, quando lavorava in Apple, introdusse la rivoluzionaria semplificazione della funzione “copia & incolla”.
Nei suoi diciassette anni di responsabile scientifico in Apple -e nel corso della sua carriera- Tessler è stato tra i responsabili delle innovazioni più dirompenti nel campo dell’informatica e delle telecomunicazioni. Eppure è passato alla storia per qualcosa che tutti conosciamo e che tutti adoperiamo. Qualcosa di apparentemente banale.
Qualcosa però che è il fondamento del nostro modo di apprendere e, quindi, di comunicare.
Dall’infanzia, apprendiamo per imitazione, rafforzata dalle condizioni al contorno: “E’ tutto suo padre/E’ tutta sua madre”.
Crescendo, siamo influenzati dagli studi, dalle esperienze, dal linguaggio, dalle frequentazioni.
Eppure, nonostante tutto, siamo unici, perché unica è la maniera con la quale la parte non visibile di noi elabora quanto riceve dall’esterno, lo integra, riformula e lo restituisce.
Non è quindi un caso se adulti esperti nel loro campo professionale e mediamente capaci a condurre in porto attività complesse, salendo su un tatami, si muovono goffamente e letteralmente confondono la destra con la sinistra.
Il kata-geiko (形稽古), l’allenamento ripetitivo delle forme non è dissimile da altre forme di trasmissione del sapere. Non è diverso dalla mamma che ripete al bimbo: “Di’ ‘mamma’” ricevendo in cambio infinite serie di ‘blblblbabababapupbababa!!!‘ prima di sentire finalmente quelle due meravigliose sillabe.
E’ significativo che Larry Tesler, che desiderava -e ha dedicato tutta la sua vita professionale per questo scopo- un mondo di libertà grazie alla semplicità di utilizzo dei computer, abbia ideato quanto di meno creativo ci possa essere: copiare e incollare.
E’ vero che, senza questa funzione, oggi crollerebbe l’intera industria dell’informazione, in cui tutte le testate riportano gli stessi lanci di agenzia. Scrivere una tesi di laurea sarebbe molto più impegnativo, al pari di una relazione tecnica e di molti altri testi.
Però, al netto del fatto che anche grazie alla diffusione dei software anti plagio si stia cercando di limitare l’uso scaltro di tale strumento, poter copiare il contenuto di un documento aiuta, e non poco, ad assimilarne lo stile, la profondità, la conoscenza dell’argomento.
E sul tatami?
Sul tatami, esattamente come su un documento, la comprensione e la conseguenza del contenuto visto, copiato e incollato sul proprio sistema, varierà a seconda di quegli elementi peculiari che fanno di ciascuno di noi un unicum, sebbene impastato di forte standardizzazione.
Forse in questa prospettiva si comprende meglio perché nello spirito giapponese la libertà, quella stessa libertà significata nella parola jiyuu (自由), è vista con un malcelato sospetto. Perché, se tanto tutto quello che siamo è ricevuto dall’esterno, allora la massima aspirazione di un essere umano dovrebbe essere la catalogazione armonica di questo “sapere”. Non l’impossibile rivisitazione libera.
Eppure noi sappiamo che c’è un qualcosa dentro di noi. Qualcosa che ci tiene svegli a volte la notte. Qualcosa che muove le decisioni. Qualcosa che ha tracciato strade che si pensavano non esistere, creato arte, cultura, valori.
Questo “qualcosa” riverbera nella libertà espressiva, a condizione che il bambino smetta di dire solo e sempre ‘blblblblbbabababab!!!’ e, dopo “mamma”, inizi a saper pronunciare sempre più parole per capire e farsi capire, proprio grazie al “copia e incolla”, senza il quale non si può progredire.
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